12/12/13

Farewell

Biglietti scritti a penna, passati sotto il banco. Smemorande prestate per qualche giorno e tornate scarabocchiate ma con un breve messaggio, nascosto, che ti rapiva improvviso. Foglietti letti a casa, con calma e frasi pensate ma non troppo. Cuori aperti come in una sala operatoria con ingresso libero. Paura. Piacere. Pulsazioni lente e, poi, velocissime, dopo un rapido pensiero. Le emozioni erano visibili ad occhio nudo: restavano lì, sospese nell'aria. 
Ridere, a 18 anni, ha un altro sapore. 
Gli occhi, poi, non mentono. Dovremmo concentrarci di più su come veniamo guardati: vivremmo meglio. Di certo con più sicurezze. 
Le paure, a quell'età, sono estreme, anche per cazzate colossali.
Anche l'ansia, a 18 anni, ha tutt'altro sapore.
Si fa molta fatica anche se si hanno forze immense. Si sta crescendo nostro malgrado e non ci piace, o forse sì. Con gli anni si diventa cinici, si impara a sopravvivere e a guardarsi dai pericoli e dagli altri. Ci si nasconde dentro sicurezze e frattaglie di esistenza ma non si va avanti, se non con gli anni. Ad un certo punto si decide di buttare l'ancora e fanculo a tutto. 
Non riesco a pensare che non sono più quello che ero ai parchetti vicino alla scuola a fumare MS morbide come una ciminiera parlando del futuro come un'avventura. Non me la sento proprio di negare di essere quello che, sbronzo, scriveva poesie a ragazze sconosciute su tovaglioli di carta, rapito solo dalla bellezza assoluta. Come posso lasciarmi indietro i chili di emozioni sudati chiacchierando con i miei amici veri, gli ettolitri di pessima birra che abbracciavano filosofie di esistenza astruse ed insensate, le lacrime per amori persi per colpa o per destino (cit.), la bellissima musica orribile che usciva in serate psychedeliranti dalle fessure della nostra sala prove. Sembrano deliri di un povero cristo che si è reso conto, all'alba dei quaranta, che ormai è grande, e ci sta che lo siano. Ma cordialmente me ne fotto! Non esiste essere o no grande, non si invecchia: si decide di morire più in fretta. Cosa resta di noi se lasciamo marcire la nostra anima? Bistecche.

Perchè questo post si intitola Farewell? E' una canzone di Francesco Guccini, la colonna sonora dei miei 18 anni ( Guccini, non la canzone...). E poi un sogno che ho fatto stanotte. Ed infine una riflessione sull'amore. La canzone è legata col filo di ferro e con il rammarico ad una persona che ha provato ad entrare nella mia vita ma ho respinto e perso e di questa cosa me ne sono da sempre pentito. Il suo viso mentre mi canta in faccia questa canzone ancora mi scuote e mi fa sorridere amaro. L'ho risognata e, come una fotografia sbiadita, mi è riapparso un mondo di emozioni e pelle, di sguardi e parole, di poesia e di mani che ti rivoltano lo stomaco ed ho riprovato una emozione da diciottenne che mi ha scosso. 
La riflessione sull'amore è stata conseguente ad una domanda che spesso ci si fa: l'amore ha una sola faccia? Ma non diciamo cazzate!
Io ho da sempre amato una quantità esagerata di cose e persone. Decine di donne che tuttora amo, amici per cui darei la vita, tramonti e momenti vissuti, oggetti, vini, piatti, quadri, poesie, libri e soprattutto mia moglie. Amare è gratis, amici miei, ed è bello. La vera stronzata e tenerselo per sè o nasconderselo.
Hasta




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